Io ti dedicava questa Oda quando tu, vinte dodici giornate e venticinque combattimenti, espugnate dieci fortezze, conquistate otto provincie, riportate centocinquanta insegne, quattrocento cannoni e contomila prigionieri, annientati cinque eserciti, disarmato il re sardo, atterrito Ferdinando IV, umiliato Pio VI, rovesciate due antiche repubbliche, e forzato l’imperatore alla tregua, davi pace a’ nemici, costituzione alla Italia, e onnipotenza al popolo francese.
Ed ora pur te la dedico non per lusingarti col suono delle tue gesta, ma per mostrarti col paragone la miseria di questa Italia che giustamente aspetta restaurata la libertà da chi primo la fondò.
Possa io intuonare di nuovo il canto della vittoria quando tu tornerai a passare le Alpi, a vedere ed a vincere!
Vero è che, più che della tua lontananza, la nostra rovina è colpa degli uomini guasti dall’antico servaggio e dalla nuova licenza. Ma poiché la nostra salute sta nelle mani di un conquistatore, ed è vero pur troppo che il fondatore di una repubblica deve essere un despota, noi e per i tuoi beneficii, e pel tuo Genio che sovrasta tutti gli altri della età nostra siamo in dovere di invocarti, e tu in dovere di soccorrerci, non solo perché partecipi del sangue italiano, e la rivoluzione d’Italia è opera tua, ma per fare che i secoli tacciano di quel Trattato che trafficò la mia patria, insospettì le nazioni, e scemò dignità al tuo nome.
E’ pare che la tua fortuna, la tua fama e la tua virtù te ne abbiano aperto il campo. Tu stai sopra un seggio donde e col braccio e col senno puoi restituire libertà a noi, prosperità e fede alla tua Repubblica, e pace all’Europa.
Pure né per te glorioso, né per me onesto sarebbe s’io adesso non t’offerissi che versi di laude. Tu se’ omai più grande per i tuoi fatti, che per gli altrui detti: né a te quindi s’aggiugnerebbe elogio, né a me altro verrebbe tranne la taccia di adulatore. Onde t’invierò un consiglio, che essendo da te liberamente accolto, mostrerai che non sono sempre insociabili virtù e potenza, e ch’io, quantunque oscurissimo, sono degno di laudarti perché so dirti fermamente la verità.
Uomo tu sei e mortale e nato in tempi ove la universale scelleratezza sommi ostacoli frappone alle magnanime imprese, e potentissimi incitamenti al mal fare. Quindi o il sentimento della tua superiorità, o la conoscenza del comune avvilimento potrebbe trarti forse a cosa che tu stesso abborri. né Cesare prima di passare il Rubicone ambiva alla dittatura del mondo.
Anche negli infelicissimi tempi le grandi rivoluzioni destano feroci petti ed altissimi ingegni. Che se tu aspirando al sommo potere sdegni generosamente i primi, aspirando alla immortalità, il che è più degno delle sublimi anime, rispetterai i secondi. Avrà il nostro secolo un Tacito, il quale commenterà la tua sentenza alla severa posterità.
Salute
Genova 5 agghiacciatore anno VIII [27 novembre 1799].
Ugo Foscolo