A Luigia PallaviciniCaduta da CavalloI balsami beati Per te Grazie apprestino, Per te i lini odorati Che a Citerea porgeano Quando profano spino Le punse il piè divino,Quel dì che insana empiea Il sacro Ida di gemiti, E col crine tergea E bagnava di lacrime Il sanguinoso petto Al Ciprio giovinetto.Or te piangon gli amori, Te fra le dive Liguri Regina e diva! e fiori Votivi all’ara portano D’onde il grand’arco suona Del figlio di Latona.E te chiama la danza Ove l’aure portavano Insolita fragranza, Allor che a’ nodi indocile La chioma al roseo braccio Ti fu gentile impaccio.Tal nel lavacro immersa, Che fior, dall’Eliconio Clivo cadendo, versa, Palla dall’elmo i liberi Crin su la man che gronda Contien fuori dell’onda.Armonïosi accenti Dal tuo labbro volavano, E dagli occhi ridenti Traluceano di Venere I disdegni e le paci, La speme, il pianto e i baci.Deh! perchè hai le gentili Forme e l’ingegno docile Vôlto a studi virili? Perchè non dell’Aonie Seguivi, incauta, l’arte, Ma i ludi aspri di Marte?Invan presaghi i venti Il polveroso agghiacciano Petto e le reni ardenti Dell’inquïeto alipede, Ed irritante il morso Accresce impeto al corso.Ardon gli sguardi, fuma La bocca, agita l’ardua Testa, vola la spuma, Ed i manti volubili Lorda, e l’incerto freno, Ed il candido seno;E il sudor piove, e i crini Sul collo irti svolazzano, Suonan gli antri marini Allo incalzato scalpito Della zampa che caccia Polve e sassi in sua traccia.Già dal lito si slancia Sordo ai clamori e al fremito; Già già fino alla pancia Nuota . . . e ingorde si gonfiano Non più memori l’acque Che una Dea da lor nacque:Se non che il Re dell’onde, Dolente ancor d’Ippolito, Surse per le profonde Vie dal Tirreno talamo, E respinse il furente Col cenno onnipotente.Quel dal flutto arretrosse Ricalcitrando, e, orribile! Sovra l’anche rizzosse; Scuote l’arcion, te misera Su la pietrosa riva Strascinando mal viva.Pera chi osò primiero Discortese commettere A infedele corsiero L’agil fianco femineo, E aprì con rio consiglio Nuovo a beltà periglio!Chè or non vedrei le rose Del tuo volto sì languide; Non le luci amorose Spïar ne’ guardi medici Speranza lusinghiera Della beltà primiera.Di Cintia il cocchio aurato Le cerve un dì traéno, Ma al ferino ululato Per terrore insanirono, E dalla rupe etnea Precipitâr la Dea.Gioìan d’invido riso Le abitatrici olimpie, Perchè l’eterno viso, Silenzïoso e pallido, Cinto apparìa d’un velo Ai conviti del cielo;Ma ben piansero il giorno Che dalle danze efesie Lieta facea ritorno Fra le devote vergini, E al ciel salìa più bella Di Febo la sorella.